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25 Aprile 2024
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Assisi Cultura

"Presepio e Calvario" – Assisi, Natale in Cittadella 2017.

Sullo sfondo di questo Natale si ergono impetuose le cattedrali del dolore dei giorni nostri : Aleppo, Palmira.  E Raqqa che ha perso i suoi figli e non vuole essere consolata. Il loro pianto ha la forza muta della pietra. I loro scheletri incombono come grida rapprese su un resto di gente senza casa, senza meta, senza futuro.
Cattedrali di un dolore eloquente e secco, crocifisso senza più sangue ed acqua, cattedrali che disperatamente stanno su, tirando il fiato coi denti, quasi ormai solo segni di un’antica bellezza stuprata dall’odio di erode. Una bellezza passata e ancora sognata fin dentro il rantolo dell’agonia, ancora presente come brandello nel ricordo che ferisce, che sembra attendere un imprevisto, una risurrezione nella notte: un dono dal cielo, che fenda le tenebre e che sia finalmente accolto.
Processioni esodali somigliano a cerchi di donne e di uomini che addomesticano le paure, le angosce, le sofferenze poggiandosi gli uni sugli altri.
Donne e uomini, bambine e bambini, colorati da una luce sinistra, come d’incendio che distrugge il nulla che ormai rimane. Gente dei dolori che ben conosce il patire, che infine,sta perdendo tutto, perfino la paura. Ci sarà anche Myriam, sorella silenziosa che serba tutto nel suo cuore, in queste lunghe file di profughi. E di certo ci sarà suo figlio, e il ricordo di un uomo inghiottito dalla terra o dal mare. In fila, senza un cammello e neppure un asino o la compagnia di un cane: gli animali son tutti morti di fame o di paura, terrorizzati dall’urlo delle pietre, di cui ora si ascolta solo il silenzio bianco di una eterna purezza : hanno troppe cose da ricordare per morire del tutto e per sempre.
C’è un foro, come un buco in una mano, nel cumulo delle rovine, di là si scorge la grande sagoma, forse di un sequestrato di cui non si hanno più notizie: prova ancora a suturare le ferite del costato dell’amico, rimasto appeso al palo, pare da secoli.
Nell’aria immobile di città sventrate sembra di udire il tuono del cinquecentenne monaco tedesco, fuori quadro e fuori luogo, a ridirci il paradosso che rende vero o falso il credere di “quelli della via”: se uno non è ancora nulla Dio non può ricavare niente da lui; perciò Egli non accoglie se non gli abbandonati, non dona la vista che ai ciechi, non ha misericordia che dei miseri, non fa vivere che i morti.
Lui, il misericordioso e compassionevole, che fa rinascere un fiotto di luce da ogni oscurità, da sotto ogni pietra, da dentro ogni tomba, che raccoglie il dolore nelle sue mani ,fascia le ferite e asciuga ogni lacrima.
Sempre il grande nido della vita aspetta caldo e vuoto, come un grembo da cui rinascere, un rifugio fragile costruito con paglia e fieno da mangiatoia, con erbe tignosamente spuntate tra un patibolo e l’altro, tra un cranio e l’altro nel fango delle strade, appena fuori dal centro delle città distrutte, potente e fragile come la vita che rimane ostinatamente, quasi per miracolo, fedele a se stessa: uno sguardo di ragazzi, timido e furtivo.
Donne e uomini, vite appese a un filo, a un soffio d’umanità, bambini con resti di giocattoli, ragazze con un ciondolo o un pendente rubato alla follia, passano lenti accanto al nido vuoto dove potrebbe nascere solo un Dio così povero da aver bisogno del loro aiuto.
Mariano Borgognoni

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